domenica 14 ottobre 2012

La Metafora di "Labyrinth"

Il tema della ricerca è frequentemente utilizzato nel genere fantasy, sia letterario che cinematografico, con risultati alterni. Non è infatti semplice sviluppare in modo interessante e profondo un viaggio, spesso finalizzato alla ricerca di un particolare oggetto dai poteri speciali, che coincida con il percorso iniziatico del protagonista.

Uno dei modelli del cammino alla scoperta del Sè è quello che accosta il mondo “reale” (inteso come quotidiano) a uno “fantastico” (inteso non come “irreale”, in quanto la realtà può essere soggettiva, ma piuttosto alternativo a essa). In campo letterario, gli esempî più conosciuti di questo modello sono indubbiamente Il Mago di Oz di L. Baum e Alice nel paese delle meraviglie di L. Carroll: in entrambi la protagonista attraversa una serie di riti di passaggio, scoprendo sè stessa e alcune verità del cammino esistenziale tramite il mondo fantastico nel quale viene temporaneamente a trovarsi. È dunque evidente la similitudine fra questi classici della letteratura fantastica e la trama di Labyrinth, a essi chiaramente ispirato, che sviluppa e arricchisce temi analoghi.

Lo scopo di Sarah, ragazza in bilico fra infanzia e adolescenza, è quello di attraversare il Labirinto per ritrovare il fratellino rapito da Jareth, Re dei Goblin; un’ardua impresa, dato che il Labirinto è un regno in continua trasformazione, colmo di sorprese, e la coraggiosa ragazza dovrà superare non poche prove. Raggiungere il centro del Labirinto significherà anche conquistare una nuova consapevolezza di sè stessa. Il labirinto è un simbolo universale, particolarmente complesso e dai molteplici significati, che ben si presta a questa interpretazione: “il simbolismo del labirinto è variamente interpretato come il ritorno al Centro, il conseguimento della comprensione dopo prove di crescente difficoltà, il viaggio della vita attraverso le difficoltà e le illusioni del mondo”.

Il complicato percorso del Labirinto, dove “non tutto è come sembra”, è difatti in perenne mutamento, proprio come la vita. All’inizio (nell’infanzia) il cammino è apparentemente diretto, semplice e privo di curve, anche se in realtà pieno di passaggi e aperture visibili soltanto a uno stadio successivo: per scoprirne i segreti è necessario crescere, con occhi (e mente) aperti, evitando di dare alcunché per scontato. Il viaggio di Sarah è dunque all’insegna dell’apprendimento, per essere in grado di vedere.

Il percorso della crescita e della conoscenza non è ovviamente indenne da profondi mutamenti interiori. Davanti a ogni ostacolo Sarah grida sempre “non è giusto!”, ma capirà che talvolta giusto e sbagliato possono essere punti di vista. Imparerà a fare delle scelte e pagarne le conseguenze (cercando di risolvere il quesito delle porte che conducono alla segreta), oppure a perdere una cosa per ottenerne un’altra (cedendo i gioielli a Hoggle in cambio del suo aiuto). Scoprirà l’importanza e il potere delle parole e la capacità di non farsi influenzare dal volere degli altri.


Molte delle creature che Sarah incontra sono rappresentazioni metaforiche di modelli comportamentali: i Fireys, le eccentriche creature capaci di staccarsi gli arti a piacere, sono coloro che prendono la vita alla leggera, spassandosela senza accettarne i lati serî e impegnativi, a volte gravi, e illudendosi così di evitarli; Hoggle è uno di quelli che ingannano gli altri e se stessi, finendo per conformarsi e perdere il coraggio individuale; le Porte sono coloro che vogliono far credere una cosa per un’altra. Jareth, fatuo e fondamentalmente ambiguo, domina grazie all’uso di menzogne e raggiri, conservando la sua posizione solo con la forza di altri inganni e illusioni.

Talvolta dalle illusioni ci si lascia irretire: l’incontro con la vecchia curva sotto il peso degli oggetti accumulati nel passato, la quale tenta di fare della ragazza una sua simile, porta Sarah a rigettare tutto ciò che fino a poco prima aveva amato (giocattoli, ricordi, sogni…). Ella arriva a pensare che crescere significhi rompere ogni legame con il proprio passato, ma scoprirà che si diventa vittime del rimpianto solo perdendosi in esso, senza guardare contemporaneamente avanti e indietro. “A volte la strada dell’’andata è la strada del ritorno”: una rivelazione fondamentale, offerta in modo un po’ confuso dal saggio con l’uccello copricapo. Eppure non sempre le verità della vita vengono rivelate con chiarezza da persone apparentemente affidabili: è un motivo classico, “l’incontro con personaggî simbolicamente detti pazzi, le cui assurdità apparenti celano, aldilà delle ristrettezze empiriche della razionalità, un’autentica saggezza”.

Jareth, nel suo ruolo di antagonista, non usa la coercizione ma la tentazione. Egli dunque seduce Sarah, le offre ciò che desidera e obbedisce ai suoi comandi, cercando contemporanemente di raggiungere il proprio scopo: farla sua diventando parte di lei. Soltanto così potrà possederla. L’offerta del Re dei Goblin è volutamente ambigua: “Dovrai solo fare ciò che ti chiedo e sarò il tuo schiavo”.

Quello che il Re dei Goblin le sta offrendo è la possibilità di realizzare ogni suo desiderio e di restare a vivere per sempre in quel mondo fantastico. La possibilità di rimanere per sempre bambina, di rinunciare alle sue responsabilità, di lasciare che altri assumano il controllo. Sarah però, è ormai cresciuta. Non può tornare indietro. Ha imparato l'importanza di esercitare controllo sulla propria vita. E' giunta finalmente alla conclusione, che tutto può essere ingiusto, ma tutto può anche essere cambiato a seconda del modo in cui si altera la propria percezione delle cose e di come si decide di reagire di conseguenza.

Sarah sconfigge Jareth ricordando (e comprendendo) la frase che fino ad allora non era mai riuscita a memorizzare: “Tu non hai alcun potere su di me”.

Sarah si era sempre lamentata di quanto la vita fosse ingiusta, ma in effetti non aveva mai fatto alcuno sforzo per cambiare la sua situazione. L'idea di poter cambiare le cose da sè, non l'aveva mai sfiorata. Quando allora si ritrova a dover salvare il fratellino, è costretta per la prima volta ad agire. A diventare responsabile. La sua situazione non sarebbe mai migliorata, se lei non si fosse messa in gioco in prima persona. When Sarah begins to look at things in a new attitude she begins to make progress both in her quest and in the development of herself. Una volta compreso che può assumere un ruolo attivo negli eventi da cui è stata travolta, la sua percezione di ciò che la circonda cambia. Ha potere su ciò che accade a Toby, ha potere su come decide di rispondere alle sfide lanciatele dal Re dei Goblin. Sarah ha controllo sulla propria vita. È questo il messaggio del film, semplice ma potente.

Dopotutto, Labyrinth è una fiaba moderna e “le favole insegnano che le difficoltà della vita esistono, non possiamo negarle, e vince solo chi le affronta e non le fugge. Esse ci suggeriscono che molto spesso queste difficoltà provengono da noi stessi, dalle nostre idee preconcette e dal non saperne riconoscere il limite”.

Tornare indietro per andar avanti, dunque, accettando la presenza (negli angoli dello specchio e di se stessi) dei vecchi amici (fantasia, sogni, speranze) pronti a “tornare nel momento del bisogno”. Spesso, al momento di compiere una scelta, Sarah guarda in uno specchio: quando evoca inizialmente i folletti, quando rigetta il proprio passato, quando si risveglia dalla confusione emotiva e distrugge la sala da ballo e, infine, quando raggiunge la comprensione al termine del viaggio, in camera sua.

Guardare nello specchio (in sè stessi) è in certi momenti l’unico modo per trovare le risposte. E quindi attraversare lo specchio e proseguire alla scoperta del fantastico mondo alternativo, verso altre rivelazioni.

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