sabato 13 settembre 2014

Dedicato a Chi Condanna le Rivoluzioni

Uno dei miei capitoletti preferiti de "I Miserabili" di Victor Hugo.

Qualche tempo dopo la data della lettera che abbiamo letto nelle pagine precedenti, il vescovo fece una cosa, al dire di tutta la città, assai più rischiosa della sua passeggiata nella montagna dei banditi.
C'era presso Digne, nella campagna, un uomo che viveva in solitudine. Quest'uomo, diciamo subito la gran parola, era stato un membro della Convenzione. Si chiamava G. Nel piccolo mondo di Digne si parlava di G. membro della Convenzione, con una specie di orrore. uno della Convenzione! Ve lo immaginate? Roba di quei tempi in cui si davano del tu e si chiamavano cittadino. Una specie di mostro! Non aveva votato la morte del re, ma quasi. Era quasi un regicida. Era stato terribile. Come mai, al ritorno dei re legittimi, quell'uomo non era stato condotto davanti a un tribunale straordinario? Se anche non gli si fosse tagliata la testa, perché la clemenza è una bella cosa, un bell'esilio a vita gli sarebbe stato bene, e sarebbe anche servito di esempio!... E poi era un ateo come tutta quella gente là, ecc... ecc... - Insomma le solite ciarle delle oche sull'avvoltoio.
Ma era poi un avvoltoio quel G.? A giudicare dalla fierezza della sua solitudine dobbiamo credere di sì. Ma non avendo votato per la morte del re, non era stato compreso nel decreto d'esilio e aveva potuto rimanere in Francia.
Abitava a tre quarti d'ora dalla città, lontano dall'abitato, fuori da ogni strada, in un angolo sperduto di una vallata selvaggia. E là si diceva che avesse una specie di campo, una capanna, un riparo. Niente vicini né passanti. Si parlava di quel luogo come della casa del boia. Tuttavia il vescovo ci pensava, e di tanto in tanto, guardando l'orizzonte nel punto in cui un ciuffo di alberi segnava la forra del vecchio membro della Convenzione, diceva: <<Là c'è un'anima che è sola>>.
E nel fondo del suo pensiero soggiungeva: <<Io gli devo una visita>>.
Ma, confessiamolo pure, questa idea, che alle prime gli sembrava naturale, dopo un momento di riflessione gli appariva impossibile e quasi ripugnante. Perché in fondo egli condivideva l'impressione generale e il membro della Convenzione gli ispirava, senza che se ne rendesse chiaramente conto, quel sentimento che è come la frontiera dell'odio e che è ben espresso dalla parola repulsione.
Ma la scabbia dell'agnello deve forse far fuggire il pastore? No... Ma che razza di agnello, però!
Il buon vescovo era perplesso. Qualche volta si dirigeva da quella parte, ma poi ritornava sui suoi passi.
Un giorno si sparse finalmente per la città la voce che una specie di giovane mandriano che serviva il membro della convenzione nella sua tana, era venuto a cercare un medico; il vecchio scellerato moriva di paralisi e forse non avrebbe passato la notte. E qualcuno commentava: <<Grazie a Dio>>.
Il vescovo prese il suo bastone, coprì la sua tonaca logora col suo solito mantello, anche perché il vento fresco della sera non avrebbe tardato a soffiare, e uscì.
Il sole tramontava ed era ormai quasi all'orizzonte quando il vescovo giunse al luogo scomunicato. Riconobbe, non senza un certo batticuore d'essere vicino alla tana. Scavalcò un fosso, attraversò una siepe, passò una staccionata, entrò in un cortile abbandonato, fece qualche passo molto coraggiosamente, e tutto a un tratto in fondo al terreno incolto, dietro un grosso cespuglio, scoprì la caverna.
Era una capanna bassa, poverissima, piccola ma pulita, con una pergola nel terreno incolto, sul davanti.
Davanti alla porta, in una vecchia poltrona a rotelle da contadini, stava seduto un uomo dai capelli bianchi che sorrideva al sole.
Lì vicino, stava un ragazzo, il pastorello, e porgeva al vecchio una tazza di latte.
Mentre il vescovo guardava, il vecchio parlò e disse: <<Grazie; non ho più bisogno di nulla>>. E il suo sorriso lasciò il sole per fermarsi sul ragazzo.
Il vescovo si fece avanti. Al rumore che fece camminando, il vecchio girò il capo e il suo viso espresse tutta la sorpresa ancora possibile dopo una lunga vita.
<<Da che sono qua, questa è la prima volta che qualcuno viene da me. Chi siete, signore?>>
Il vescovo rispose:
<<Mi chiamo Bienvenu Myriel>>.
<<Bienvenu Myriel! Ho già sentito il vostro nome. Siete voi quello che il popolo chiama monsignor Bienvenu?>>
<<Sono io.>>
Il vecchio riprese con un mezzo sorriso:
<<Allora voi sareste il mio vescovo?>>
<<Un poco.>>
<<Entrate pure.>>
Il membro della Convenzione tese la mano al vescovo, ma il vescovo non la prese e si limitò a dire:
<<Sono lieto di vedere che mi avevano ingannato. Non mi sembra siate ammalato>>.
<<Oh!>>, rispose il vecchio, <<sono vicino a guarire.>>
E dopo una pausa soggiunse:
<<Morirò fra tre ore>>.
Poi riprese:
<<Sono un po' medico: so come viene l'ultima ora. Ieri erano freddi soltanto i piedi; oggi il freddo ha passato le ginocchia e lo sento salire verso la cintola; quando sarà al cuore, mi fermerò. il sole è bello, vero? Mi sono fatto trascinare qua fuori per dare un ultimo sguardo alle cose. Potete parlarmi: non mi affatica. Avete fatto bene a venire a vedere un uomo che muore. E' bene che un tale momento abbia dei testimoni. Si hanno delle strane manie alle volte: io ci avrei tenuto ad arrivare all'alba. Ma so che ne ho per tre ore soltanto. Sarà notte. in fondo, poco male, Finire è una cosa semplicissima; non c'è bisogno di vederci; basterà la luce delle stelle>>.
Il vecchio si volse al pastorello e disse:
<<Tu va a dormire. Hai vegliato la notte passata. Sei stanco.>>.
Il ragazzo entrò nella capanna; e il vecchio lo seguì con gli occhi; poi disse come parlando tra sé: <<Mentre lui dormirà, io morirò. I due sonni possono essere buoni compagni>>.
il vescovo non era commosso come si potrebbe credere. Non gli pareva di sentire Dio in quel modo di morire. Diciamolo pure, giacché le piccole contraddizioni dei grandi cuori devono essere notate come il resto: lui, che all'occorrenza sapeva ridere volentieri della sua grandezza, era un po' seccato di non essere chiamato monsignore, ed era quasi tentato di chiamare quell'uomo: cittadino. Gli venne da usare quella famigliarità burbera che è così comune ai medici e ai preti ma che invece era tutt'altro che facile vedere in lui. Quell'uomo dopo tutto, quel membro della Convenzione, quel rappresentante del popolo era stato un potente della terra, e il vescovo, per la prima volta forse in vita sua, sentì la voglia di essere severo.
Il membro della Convenzione intanto lo considerava con una cordialità rispettosa, nella quale forse si sarebbe potuto trovare anche un po'  dell'umiltà che accompagna chi è prossimo a diventare polvere.
Il vescovo, dal canto suo, benché di solito si guardasse dalla curiosità, che secondo lui rasentava l'offesa, non poteva tenersi dall'osservare il membro della Convenzione con un'attenzione poco simpatica di cui si sarebbe aspramente rimproverato usandola verso qualunque altro suo simile. Ma un membro della Convenzione gli faceva un po' l'effetto di essere fuori dalla legge, perfino fuori dalla legge di carità.
g., calmo, col busto quasi eretto, la voce vibrante, era uno di quei fieri ottuagenari che fanno meravigliare i fisiologi. La rivoluzione ha avuto molti di questi uomini, proporzionati al tempo. Si sentiva in quel vecchio l'uomo alla prova. Così vicino alla fine, aveva conservato tutti i gesti della salute. Nella sua occhiata chiara, nel suo accento fermo, nei robusti movimenti delle sue spalle c'era di che sconcertare la morte. Azrael, l'angelo maomettano del sepolcro, sarebbe ritornato indietro e avrebbe certo creduto di aver sbagliato parte. G. sembrava morire perché così gli piaceva. C'era della libertà nella sua agonia. Le gambe sole erano immobili: la morte lo teneva lì.
I piedi erano morti e freddi, ma la testa era viva, in tutta la pienezza della sua potenza, e pareva piena di luce. G., in quel grave momento, assomigliava a quel re della favola, mezzo di carne e mezzo di marmo.


C'era un sasso lì vicino; il vescovo ci si sedette sopra e incominciò ex abrupto:
<<Mi congratulo con voi>>, disse con accento di rimprovero, <<almeno non avete votato la morte del re>>.
Il convenzionale non parve notare il sottinteso amaro nascosto in quella parola: almeno. E rispose:
<<Non vi congratulate troppo, signore: ho votato la fine del tiranno.>>
Austerità contro severità.
<<Che volete dire?>>, domandò il vescovo.
<<Voglio dire che l'uomo ha un tiranno, l'ignoranza. Ho votato la fine di questo tiranno. E' lui che ha generato la monarchia, che è l'autorità cercata nel falso, mentre la scienza è l'autorità cercata nel vero. L'uomo deve essere governato dalla scienza.>>
<<E dalla coscienza>>, aggiunse il vescovo.
<<E' la stessa cosa. La coscienza è una certa quantità di scienza innata che possediamo in noi stessi.>>
Monsignor Bienvenu ascoltava, un po' meravigliato, questo linguaggio molto nuovo per lui.
Il membro della Convenzione proseguì.
<<Quanto a Luigi XVI, ho votato no. Non mi credo in diritto di uccidere un uomo; ma di sterminare il male, sì, è un dovere. E ho votato la fine del tiranno, ovvero la fine della prostituzione per la donna, la fine della schiavitù per l'uomo, la fine dell'ignoranza per il bambino. Votando per la Repubblica ho votato questo. Ho votato la fraternità, la concordia, l'aurora! Ho dato mano alla caduta dei pregiudizi e degli errori. Il crollo dei pregiudizi e degli errori produce la luce. Abbiamo fatto crollare il vecchio mondo, noi, e il vecchio mondo, vaso di miserie, rovesciandosi sul genere umano è divenuto un'urna di gioia.>>
<<Gioia confusionaria>>, disse il vescovo.
<<Potrete dire gioia intorbidata, e oggi, dopo quel fatale ritorno del passato che si chiama 1814, gioia scomparsa. Purtroppo l'opera è stata incompiuta, ne convengo; abbiamo demolito l'antico regime nei fatti, ma non l'abbiamo potuto sopprimere del tutto nelle idee. Distruggere un abuso non basta; bisogna modificare i costumi. Il mulino non c'è più, ma il vento è rimasto.>>
<<Avete demolito, sì; e demolire può essere utile; io diffido però di una demolizione complicata dalla collera.>>
<<Il diritto ha la sua collera, signor vescovo, e la collera del diritto è un elemento di progresso. Si dica quel che si vuole, la Rivoluzione francese è il più potente passo del genere umano dopo l'avvento di Cristo. Incompiuto fin che volete, ma sublime. Ha risolto tutte le incognite sociali. Ha addolcito gli animi, ha calmato, pacificato, rischiarato: ha fatto correre sulla terra onde di civiltà. E'stata buona. La Rivoluzione francese è la consacrazione dell'umanità.>>
Il vescovo non poté trattenersi dal mormorare:
<<Sì?... il '93!>>.
Il membro della Convenzione si drizzò nella sua seggiola con una solennità quasi lugubre, e per quanto può gridare un moribondo, gridò:
<<Ah! Eccoci al '93! Me l'aspettavo! Una nube s'è ingrossata per millecinquecento anni, e dopo la bellezza di quindici secoli è scoppiata. E voi fate il processo al fulmine>>.
Senza nemmeno confessarselo, il vescovo, si sentì in qualche modo colpito. Ma si controllò, e rispose:
<<Il giudice parla in nome della giustizia, il prete parla in nome della pietà, la quale altro non è se non una giustizia più elevata. Il fulmine non deve sbagliare, cadendo>>.
E soggiunse guardando fisso il membro della Convenzione:
<<Luigi XVII?>>.
Il membro della Convenzione stese la mano e afferrò il braccio del vescovo:
<<Ebbene, Luigi XVII! Vediamo: su chi piangete? Sul bambino innocente? Allora piango con voi. Oppure sul rampollo reale? In questo caso riflettete. Per me il fratello di Cartouche, fanciullo innocente appeso per le ascelle in Place del la Grève fino a che ne seguì la morte, non mi fa piangere meno del nipote di Luigi XV fanciullo innocente anch'esso, martirizzato nella torre del Temple per il solo delitto di essere stato nipote di Luigi XV>>.
Non mi piace vedere accostati certi nomi", disse il vescovo.
<<Cartouche? Luigi XV? Per quale dei due reclamate?>>
Ci fu un momento di silenzio in cui il vescovo si pentì quasi di essere venuto mentre tuttavia si sentiva stranamente scosso.
Il membro della Convenzione riprese:
<<Ah, signor sacerdote, a voi non piacciono le crudezze della verità. A Cristo invece piacevano: prendeva la frusta per ripulire il tempio: la sua frusta piena di lampi era una fiera testimone di verità. E quando gridava: Sinite parvulos, non faceva certo nessuna distinzione tra i fanciulli. Non si sarebbe dato nessun pensiero di veder vicini il delfino di Barabba e il delfino di Erode. L'innocenza è una corona da se stessa; non gli serve nessuna 'Altezza', è augusta tra gli stracci come tra i gigli di Francia>>.
<<E' vero>>, mormorò a bassa voce il vescovo.
<<Non basta>>, continuò il membro della Convenzione; <<voi avete nominato Luigi XVII. Intendiamoci. Piangiamo su tutti gli innocenti, su tutti i martiri, su tutti i fanciulli, su quelli del popolo come su quelli nobili? Ci sto anch'io: ma allora, ve l'ho detto, bisogna risalire più in alto del '93 e bisogna cominciare a piangere molto prima di Luigi XVII. Io piangerò sui figli dei re con voi, purché voi piangiate con me sui figli del popolo.>>
<<Piango su tutti>>, disse il vescovo.
<<Ugualmente!>>, gridò G., <<E se la bilancia deve pendere da una parte, sia dalla parte del popolo. E' più tempo che soffre.>>


Ci fu ancora silenzio. Il membro della Convenzione lo ruppe. Si sollevò su un gomito, si prese tra il pollice e l'indice ripiegato un pizzico della guancia come si fa macchinalmente quando si interroga e si giudica, e si rivolse al vescovo con uno sguardo in cui raccolse tutte le energie della sua agonia.
Fu quasi un'esplosione:
<<Sì signore, è molto tempo che il popolo soffre. Ma poi, lasciamo da parte questo: voi che venite a interrogarmi su Luigi XVII, chi siete? Io non vi conosco. Da che sono in questo paese, sono vissuto qua dentro, solo senza mettere piede fuori, non vedendo nessuno all'infuori di questo ragazzo che mi aiuta. M'è arrivato confusamente il vostro nome, questo è vero, e, devo dirlo, m'è arrivato con rispetto, ma questo non significa nulla; la gente abile ha tante maniere di ingannare quel bonaccione che è il popolo. A proposito, non ho udito il rumore della vostra carrozza; l'avrete certo lasciata laggiù dietro il bosco, al bivio. Io non vi conosco, ripeto. Avete detto che siete il vescovo ma questo non mi dice nulla della vostra persona morale. in conclusione, e vi ripeto la domanda: Chi siete? Siete un vescovo, cioè un principe della Chiesa, uno di quegli uomini dorati, stemmati, ricchi, che si godono grasse prebende... il vescovo di Digne, credo, quindicimila franchi fissi, diecimila franchi di straordinari, totale venticinquemila franchi... uno di quegli uomini che hanno una splendida cucina, delle livree, e banchettano, e mangiano gallinelle il venerdì, che si pavoneggiano, con servi davanti e servi di dietro in berlina di gala e che hanno palazzi e vanno in carrozza in nome di Cristo che andava a piedi nudi! Siete un prelato; avrete rendite, palazzi, cavalli, servi, buona tavola, tutti i beni della vita, avrete tutto questo come gli altri, e come gli altri ne godrete, e va bene: ma questo dice molto e non dice abbastanza; questo non mi illumina sul vostro valore intrinseco ed essenziale: voi venite con la probabile pretesa di portarmi della saggezza, e io vi domando: Chi siete?>>
Il vescovo abbassò la testa e rispose:
<<Vermis sum>>.
<<Un verme in carrozza!>>, brontolò il membro della Convenzione. Ora toccava al membro della Convenzione essere altero, e al vescovo essere umile.
Il vescovo riprese con dolcezza:
<<Sia pure, signore. Ma spiegatemi in che modo la mia carrozza che è là dietro gli alberi, in che modo la mia tavola e le gallinelle d'acqua che mangio il venerdì, in che modo i miei venticinquemila franchi di rendita, e il mio palazzo e i miei servi, provano che la pietà non è una virtù, che la clemenza non è un dovere e che il '93 non è stato inesorabile>>.
Il membro della Convenzione si passò una mano sulla fronte come per scacciarne una nube.
<<Prima di rispondere>>, disse, <<vi prego di perdonarmi. Ho avuto torto: siete in casa mia, mio ospite, devo essere cortese. Voi discutete le mie idee, e io mi devo limitare a combattere i vostri ragionamenti. Le vostre ricchezze e i vostri agi sono vantaggi che io ho contro di voi, ma non è delicato che me ne serva. Vi prometto di non usarli più.>>
<<Vi ringrazio>>, disse il vescovo.
G. riprese a dire:
<<Ritorniamo alla spiegazione che voi mi domandavate. Dove eravamo rimasti?... Che dicevate?... Che il '93 è stato inesorabile?>>.
<<Inesorabile, sì>>, disse il vescovo. <<Cosa pensate di Marat che batte le mani alla ghigliottina?>>
<<E che cosa pensate voi di Bossuet che cantava il Te Deum per i massacri dei protestanti?>>
La risposta era dura, ma andava affondo con la durezza di una punta d'acciaio. Il vescovo trasalì e non trovò maniera di parare il colpo. Lo ferì sentir pronunciare a quel modo il nome di Bossuet: anche i più nobili ingegni hanno i loro feticci, e talvolta si offendono se la logica manca loro di rispetto.
Il membro della Convenzione cominciava ad ansimare e il rantolo dell'agonia gli troncava la voce: tuttavia conservava una intera lucidità d'animo, visibile negli occhi. E proseguì:
<<Continuiamo ancora un poco a parlare: lo desidero. Togliendolo fuori dalla Rivoluzione che, presa nel suo insieme, è un'immensa affermazione umana, che cos'è il '93 se non una risposta? Lo trovate inesorabile. Sfido io! E tutta la monarchia? Carrier è un bandito; ma Montrevel come lo chiamate? Fouquier-Tinville è un pezzente; ma come la pensate su Lamoignon-Baville? Maillard è orribile, ma Saulx-Tavanne? Che ve ne pare? Il Père Duchene è feroce, ma quale epiteto mi lasciate dare al padre Letellier? Jourdan Coupe-Tete è un mostro, ma meno mostro del marchese di Louvois. Ah! Caro signore, io piango Maria Antonietta arciduchessa e regina; ma piango anche quella povera donna ugonotta che nel 1685, sotto Luigi il Grande, mentre allattava il suo bimbo, fu legata, nuda fino alla cintola, a un palo, e il bimbo tenuto distante. Il petto si gonfiava di latte e il cuore d'angoscia: il bambino affamato e pallido, vedeva le mammalle, e gridava agonizzando; e il boia diceva a quella donna: "Abiura!", dandole a scegliere tra la morte del suo piccolo e la morte della sua coscienza. Che ne dite di questo supplizio di Tantalo applicato ad una madre? Ricordate bene questo, sigore: la Rivoluzione francese ha avuto le sue ragioni. La sua collera sarà assolta dall'avvenire; il suo risultato è un mondo migliore. Dai suoi colpi più terribili, esce una carezza per il genere umano. Abbrevio... anzi, mi fermo: avrei troppe cose da dire. Ma devo morire>>.
E cessando di guardare il vescovo, il membro della Convenzione compì sommessamente il suo pensiero così:
<<Sì, le brutalità del progresso si chiamano rivoluzioni. Quando sono finite, si vede che il genere umano è stato tartassato, ma è andato avanti>>.
Senza avvedersene, il membro della Convenzione aveva preso d'assalto una dopo l'altra tutte le trincee interiori del vescovo. Una tuttavia rimaneva intatta; e di questo estremo baluardo della resistenza di monsignor Bienvenu uscirono queste parole, nelle quali riapparve quasi tutta la severità del principio del colloquio:
<<Il progresso deve credere in Dio. Il bene non può avere servi empi. E' un cattivo condottiero del genere umano l'ateo>>.
Il vecchio rappresentante del popolo non rispose. Ebbe un tremito. Guardò il cielo e una lacrima spuntò sul suo sguardo. Quando l'occhio ne fu pieno, la lacrima calò lungo la sua gota livida, ed egli disse quasi balbettando, con un filo di voce, con la pupilla perduta nel profondo del cielo:
<<O ideale! Tu solo sei vero!>>
Il vescovo fu preso da un'inesprimibile commozione.
Dopo un silenzio, il vecchio levò un dito verso il cielo e disse:
<<L'infinito esiste. E' là. Se l'infinito non avesse un io, il mio io sarebbe il suo limite; e non sarebbe più infinito; in altri termini, non esisterebbe. Ma siccome esiste, dunque ha un io. Questo io dell'infinito è Dio>>.
Il moribondo aveva pronunciato queste ultime parole con una voce alta e con un fremito di estasi, come se vedesse qualcuno. Quando ebbe parlato, i suoi occhi si chiusero. Lo sforzo l'aveva spossato. Era evidente che aveva vissuto in un minuto le poche ore che gli restavano. Ciò che aveva detto lo aveva avvicinato a colui che sta nella morte. L'istante supremo arrivò.
Il vescovo comprese che il tempo stringeva e si ricordò di essere venuto come prete; dall'estrema freddezza era passato, a grado a grado, alla commozione estrema; guardò quegli occhi chiusi, e prese quella vecchia mano rugosa e gelata e chinandosi verso il moribondo disse:
<<Questa è l'ora di Dio. Non vi sembra che sarebbe doloroso che noi ci fossimo incontrati in vano?>>
Il membro della Convenzione riaprì gli occhi. Una gravità piena d'ombra si dipinse sul suo volto.
<<Signor vescovo>>, disse con una lentezza che veniva forse più dalla dignità dell'anima che dalla povertà delle forze, <<ho passato la mia vita nella meditazione, nello studio e nella contemplazione. Avevo sessant'anni quando il mio paese mi ha chiamato e mi ha ordinato di incaricarmi dei suoi affari. Ho obbedito. C'erano degli abusi, li ho combattuti; c'erano delle tirannie, le ho distrutte; c'erano dei diritti e dei principi, e io li ho proclamati e confessati. Il territorio era invaso, e l'ho difeso; la Francia era minacciata, ho offerto il mio petto. Non ero ricco e ora sono povero. Fui uno dei padroni dello stato, e le cantine del Tesoro erano talmente cariche di monete che era stato necessario puntellare i muri per timore che cedessero sotto il peso dell'oro e dell'argento; e io pranzavo in rue dell'Abre-Sec a ventidue soldi a pasto. Ho soccorso gli oppressi; ho sollevato i sofferenti. Ho strappato la tovaglia dell'altare, sì, ma è stato per fasciare le ferite della patria. Ho sempre sostenuto il progresso del genere umano verso la luce e ho resistito qualche volta al progresso senza pietà. In certi casi ho protetto i miei stessi avversari, cioè voialtri. A Pateghem, in Fiandra, là dove i re merovingi avevano il loro palazzo d'estate, c'è un convento di urbanisti, l'abazia di Sainte-Claire in Beaulieu che deve la sua salvezza a me. Fu nel 1793. Ho fatto il mio dovere secondo le mie forze e ho fatto il bene che ho potuto. Dopo di ciò sono stato scacciato, inseguito, perseguitato, segnato nel libro nero, disprezzato, odiato, maledetto, proscritto. Dopo molti anni, con i miei capelli bianchi, sento che molta gente crede di avere il diritto di disprezzarmi; per la povera folla ignorante ho un viso di dannato, e così io accetto, pur non odiando nessuno, l'isolamento dell'odio. Adesso ho ottantasei anni, e muoio. Che cosa venite a chiedermi?>>
<<La vostra benedizione>>, disse il vescovo. E s'inginocchiò.
Quando il vescovo rialzò la testa, il viso del membro della Convenzione era diventato venerabile. Era morto.
Il vescovo ritornò a casa profondamente assorto in segreti pensieri. Passò tutta la notte in preghiere. Il giorno dopo qualche audace curioso provò a parlargli del membro della Convenzione G.; ma lui si limitò a mostrare il cielo col dito. Da quel giorno raddoppiò di tenerezza e di fraternità per i piccoli e i sofferenti.
Tutte le allusioni a <<quel vecchio scellerato di G.>> lo facevano cadere in una preoccupazione singolare. Nessuno potrebbe dire che il passaggio di quello spirito vicino al suo, e il riflesso di quella grande coscienza dinanzi alla sua, non avesse contribuito ad avvicinarlo alla perfezione.
Quella "visita pastorale" fu naturalmente occasione di infinite chiacchiere, per le piccole combriccole locali:
<<Poteva mai essere quello il posto di un vescovo, al capezzale di un simile moribondo? Chi poteva attendersi una conversione? Tutti quei rivoluzionari sono recidivi. E allora perché andarci? Per vedere che cosa? Bisognava che fosse proprio la curiosità di vedere un'anima portata via dal diavolo>>.
Un giorno, una ricca vedova, di quella razza impertinente che si crede spiritosa, lo apostrofò: <<Monsignore, ci si chiede in città quando Vostra Grandezza conta di mettere il berretto rosso>>.
<<Oh! oh! Il rosso è un gran colore", rispose il vescovo. "Fortunatamente chi lo aborre nei berretti lo venera nei cappelli.>>


- X. Il Vescovo In Presenza Di Una Luce Sconosciuta
["I Miserabili" - VICTOR HUGO]

venerdì 5 settembre 2014

Costante Terrorismo Mediatico sull'Immigrazione


Se non fai attenzione, la stampa ti porterà ad odiare le persone oppresse e ad amare gli oppressori.

La Presunzione dell'Italiano Medio



Se si domanda a Tizio, che non ha mai studiato il cinese e conosce bene solo il dialetto della sua provincia, di tradurre un brano di cinese, egli molto ragionevolmente si meraviglierà, prenderà la domanda in ischerzo e, se si insiste, crederà di essere canzonato, si offenderà e farà ai pugni.

Eppure lo stesso Tizio, senza essere neanche sollecitato, si crederà autorizzato a parlare di tutta una serie di quistioni che conosce quanto il cinese, di cui ignora il linguaggio tecnico, la posizione storica, la connessione con altre quistioni, talvolta gli stessi elementi fondamentali distintivi. Del cinese almeno sa che è una lingua di un determinato popolo che abita in un determinato punto del globo: di queste quistioni ignora la topografia ideale e i confini che le limitano.

- Antonio Gramsci
 

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